domenica 14 agosto 2011

Anna Lombroso per il Simplicissimus

«Per un minuto siamo rimasti immobili e muti davanti allo schermo. Non sapevamo cosa fare. Poi ho tirato su il telefono e chiamato la polizia».

Adrienne Ives ha denunciato la figlia Chelsea, 18 anni, promessa e ambasciatrice delle Olimpiadi di Londra ripresa dalle telecamere mentre tirava un mattone contro un’ auto della polizia, durante i saccheggi della sommossa di Enfield.

Senza tornare sui disordini di Londra, ai quali hanno partecipato oltre ai “dimenticati”, regolari ma senza vera cittadinanza, anche “inclusi” in questo caso vocati a un rampante successo, inebriati, secondo la confessione della ragazza, da un improvviso protagonismo.

Ho amici insegnanti che sono stati minacciati fisicamente da genitori di impenitenti “insufficienti” non ammessi agli esami, presidi ricattati da papà di leader del neo-bullismo, docenti sbeffeggiati dai genitori di coatti in nuce sorpresi a immortalare col cellulare le esibizioni in classe di aspiranti veline.

Immagino quindi che la cultura omertosa e familistica cara alla nostra classe dirigente abbia talmente attecchito e fatto presa su tutti gli strati della popolazione da far guardare con sospettosa critica alla mamma inglese, come a una macchietta, un parodia delle spartane con lo scudo o sopra lo scudo o delle madri dei gracchi, considerate arcaiche e anche un bel po’ ridicole.
Oggi figli passati alla leggenda per imprese eroiche verrebbero presi per iperattivi da consegnare a comprensivi terapeuti e – per fortuna se vogliamo – dalla rupe tarpea verrebbe buttato qualche educatore troppo esigente.

La severità non è più una virtù.

E ci credo. Quando si lavora coi bambini e non solo si capisce subito che le parole non servono, che occorre l’esempio, che loro imparano da quello che sei e fai e non da quello che dici.
È un concetto elementare e fondamentale, oggi difficile da praticare perché i modelli antropologici all’interno della nostra contemporaneità sono stati stravolti, irrisi in quanto arcaici.
I nostri “futuristi” – e a me tutto sommato non piace un granchè nemmeno Marinetti mentre continuo ad avere una certa ammirazione per il chiaro di luna – disdegnano memorie, trasmissioni di saperi e con esse le competenze che circolano attraverso riti di passaggio e scambio allargato di capacità maturate.

Preferendo ad esse improvvisazione scambiata benevolmente per creatività, approssimazione spacciata per genialità, immaturità benvista come innocenza.

E d’altra parte meglio così verrebbe da dire a guardare grandi e piccoli vecchi che non sanno diventare adulti e i comportamenti delle classi dirigenti propositive solo di cattivi esempi. Il fatto è che i maestri, cattivi, sono il profitto e il mercato, che orientano tutto con una capacità pedagogica formidabile.
Così non si impara da chi sa ma da chi mostra, persuade, convince, dalle tribune elettorale, dai salotti televisivi, dalle vetrine mediatiche e non, dai messaggi pubblicitari, con un tremendo e bestiale predominio della parola sui fatti, della comunicazione sull’informazione, dell’esibizione sul sapere, della superficialità effimera sull’approfondimento, dell’adesione sul pensiero critico.
E dell’indulgente comoda tolleranza sulla severità e la responsabilità.

Non è possibile sperare di meglio da un sistema che è stato capace di rendere gli uomini schiavi facendo loro credere di non essere mai stati meglio, di fargli preferire la delega alla partecipazione, di persuaderli che è auspicabile essere consumatori e telespettatori piuttosto che cittadini e elettori.

A costo di essere meno liberi, a costo di stare isolati e soli ma al sicuro, a costo di rompere qualsiasi vincolo di solidarietà e coesione in cambio di una egoistica tranquillità.
A costo di preferire il consenso all’obbligo di educare, l’ubbidienza a quello di ragionare, la dipendenza all’impegno di essere autonomi e di crescere creature libere.
Quelli prima di noi hanno avuto un terribile esempio che ha offerto loro la possibilità di discernere tra bene e male: oggi viviamo il un dispotismo che fino ad oggi è stato blando, insinuante, addomesticato e addomesticante.
Le vittime, i sommersi erano quasi invisibili, marginali, muti.
Gli scoppi di collera erano bollati come disordine che turbava il nostro letargo.
Quel tempo è finito, è finita la pacificazione del consenso e del consumo. È il momento della disubbidienza attiva, della ribellione pedagogica.

È il momento di imparare e insegnare l’indivisibilità dei diritti, la inevitabilità della ribellione, la volontà della democrazia.

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